Fase e organizzazione

Mentre il vocabolo «organizzazione» appartiene al lessico di numerosi campi del sapere, le parole «fase», «stadio» e «posizione» hanno una caratterizzazione teorica inequivocabile, che le individua immediatamente come lemmi specifici del vocabolario psicoanalitico. In questa voce vedremo che i termini citati sono stati introdotti, da S. Freud e da altri psicoanalisti, per concet-tualizzare l'evoluzione (prospettiva diacronica) e la struttura (prospettiva sincronica) dell'apparato psichico. Nozioni sostanzialmente equivalenti, «fase» e «stadio» libidinale sono categorie che mirano a caratterizzare le configurazioni affettive e pulsionali che si presentano nel corso dello sviluppo. Nel quadro concettuale creato dall'impiego di queste nozioni può poi essere individuato anche il significato più propriamente psicoanalitico del termine «organizzazione». Infatti, se fase e stadio richiamano una prospettiva storico-evolutiva e dunque diacronica, il termine organizzazione rimanda invece alla struttura sincronica dei fenomeni psichici, correlando ciò che si può osservare, o inferire (un fenomeno psicopatologico, ad esempio, o un tratto del carattere), alle caratteristiche dello sviluppo emotivo e psicosessuale del soggetto. Occorre inoltre ricordare che con la medesima finalità - studiare il funzionamento mentale a partire dalle caratteristiche diacroniche e sincroniche dello sviluppo psichico - la psicoanalisi ha introdotto anche un'altra nozione fondamentale: la «posizione» schizoparanoide e depressiva. Mentre la teoria delle posizioni è un modello concettuale caratteristico della tradizione kleiniana e postkleiniana, le nozioni di fase e organizzazione appartengono storicamente e concettualmente all'orizzonte teorico freudiano.

Date le premesse implicite in queste definizioni, si tratta ora di affrontare le prime e ancor'oggi fondamentali formulazioni psicoanalitiche - teorie ineludibili, che per essere comprese devono essere ricondotte ai grandi cicli dell'elaborazione metapsicologica freudiana. A tal fine cercheremo di riassumere gli sviluppi cui sono andate incontro queste nozioni, concentrandoci in particolare su tre aree tematiche principali: il ruolo dell'oggetto e la valorizzazione della relazione con quest'ultimo; le posizioni schizoparanoide e depressiva; e infine la teoria lacaniana sulla fase dello specchio. La teoria freudiana delle fasi dell'organizzazione psichica si trova esplicitata per la prima volta nei Tre saggi sulla teoria sessuale (Freud, 1905C), il testo che illustra meglio di ogni altro quello che oggi viene indicato, a torto o a ragione, come il «modello pulsionale» della psicoanalisi. Rovesciando l'opinione comune che identifica la sessualità con la genitalità, questo saggio sostiene che la vita psichica infantile è animata, sin dalle prime fasi detto sviluppo, da una sessualità di natura appunto pregenitale. Per Freud, il bambino è un «perverso polimorfo» che ricava piacere dalla stimolazione delle aree anatomiche intorno alle quali si organizza la sua primitiva ricerca del piacere. Le aree interessate da questi processi sono fondamentalmente tre: 1) la zona della bocca, per l'organizzazione pulsionale della fase orale; 2) lo sfintere e la mucosa anale, per la fase omonima; e infine 3) l'area genitale, centrale nella fase fallica e in quella appunto genitale.

Per comprendere a fondo l'argomentazione di questo storico scritto, occorrerebbe soffermarsi sulle nozioni di «fonte», «meta» e «oggetto» della pulsione, nonché sulla prima grande antinomia postulata da Freud in quegli anni: la dialettica fra pulsioni di autoconservazione e pulsioni più propriamente sessuali. Ci limiteremo qui a ricordare sinteticamente che la meta della pulsione è la ricerca del piacere (cioè la scarica dell'eccitazione); che l'oggetto è ciò, o chi, rende possibile la scarica eccitatoria (quindi: l'elemento grazie a cui la pulsione viene scaricata); mentre la fonte è il luogo in cui appare inizialmente l'eccitazione (il processo somatico percepito come eccitante che si attua in una certa parte del corpo: Laplanche e Pontalis, 1967). L'interazione fra pulsioni di autoconservazione e pulsione sessuale - e cioè il secondo tema sopra ricordato - è ben illustrata nel caso della fase orale, che Freud qui considera come la fase aurorale dello sviluppo della libido. Il «ciucciare con delizia» è infatti per Freud la prima manifestazione della sessualità infantile. Il piacere più propriamente sessuale è qui inteso come un fenomeno collaterale alla nutrizione e alle fisiologiche soddisfazioni corporee che questa comporta. Si tratterebbe di un evento psichico che si organizza poco per volta durante le prime fasi della vita, e che consiste nel sovrapporsi del piacere, e quindi della pulsione sessuale lato sensu, alle attività promosse dalle pulsioni di vita. Anaclisi o appoggio sono termini impiegati per descrivere le relazioni fra queste istanze pulsionali fondamentali. Irriducibile alla sola sazietà, la soddisfazione del lattante al seno è dovuta, in questo modello, al fatto che la suzione procura una «gratificazione libidica accessoria» che si sovrappone alla suzione e all'alimentazione appoggiandosi, letteralmente, al di sopra di esse. Mentre si nutre, il lattante comincia così anche a provare piacere, e questo piacere costituisce l'aspetto centrale dell'organizzazione pulsionale di tipo orale. La seconda tappa dello sviluppo psicosessuale descritta nei Tre saggi è la cosiddetta fase anale. Qui il distretto corporeo interessato è quello connesso con la defecazione e il piacere si organizza a partire dalle stimolazioni che sono connesse alle attività di ritenzione, controllo e rilascio del materiale fecale. A un'epoca che Freud colloca fra il terzo e il quarto anno di vita, l'area del piacere andrebbe incontro infine a un'altra trasformazione, migrando verso le zone più propriamente genitali. Questo è l'inizio della fase fallica, che si svilupperà - non prima di aver attraversato il decisivo passaggio dell'elaborazione edipica - nell'organizzazione del piacere strutturata sulla presenza e sulla stimolazione degli organi deputati alla riproduzione.

Come tutti sanno, le tre fasi ora citate costituiscono le tappe chiave di una teoria generale dello sviluppo psicosessuale alla quale Freud ha lavorato nel corso di tutta la sua attività scientifica. Il modello dello sviluppo libidinale ora richiamato è però andato incontro, in passato, a innumerevoli utilizzazioni riduttive che ne hanno irrimediabilmente banalizzato il valore euristico. La squenza lineare fase orale → fase anale → fase fallico-genitale che ne è stata spesso derivata è divenuta infatti una semplificazione riduttiva tanto diffusa quanto fuorviarne, che fa torto non solo alla realtà e alla complessità del processo maturativo individuale, ma anche alla ricchezza e alla profondità del ragionamento freudiano. Conviene dunque soffermarsi sul testo freudiano e cercare di cogliere il modello concettuale concretamente all'opera in queste pagine. In particolare nel secondo saggio Freud sembra esplicitare un modello evolutivo che può apparire lineare. Se lo si studia attentamente, tuttavia, si può notare che esso si sofferma su aspetti parziali e su manifestazioni collaterali che finiscono per rappresentare lo sviluppo psichico come la risultante di un ricco sistema di concause e fattori interni ed esterni, in cui «vie d'influenza reciproca» tra fonti somatiche, funzioni corporee ed esperienze personali conferiscono ai sistemi biologici e psicologici in corso d'evoluzione un carattere ipercomplesso, instabile e reversibile. Il modello concettuale di Freud non è, dunque, né così meccanicamente evoluzionista, né così esclusivamente pulsionale come è stato spesso descritto. Nel terzo dei tre saggi, e ancor di più nel riepilogo conclusivo, troviamo infine innumerevoli osservazioni sull'importanza dell'interazione tra fattori storico-personali e biologico-costituzionali. La rappresentazione dell'apparato psichico che finisce per prevalere è una prospettiva multidimensionale e multifattoriale, che trova una concettualizzazione genetico-evolutiva coerente con la teoria delle «serie complementari». In questo quadro, il passaggio dalla sessualità infantile alla vita adulta è descritto come una trasformazione problematica e sovra-determinata, che può dar luogo a un'ampia gamma di disturbi del processo evolutivo. L'organismo umano che attraversa le trasformazioni dello sviluppo viene «messo in moto da stimoli» che possono provenire da diverse direzioni. E importante sottolineare che Freud cita a questo riguardo tutto lo spettro delle determinanti bio-psico-sociali. Ricorda innanzitutto l'importanza del mondo esterno, con le «esperienze accidentali» che la vita impone a ciascuno; non trascura l'interno organico, i fattori biologico-metabolici ed endocrini, e si concentra infine sulla vita psichica, la quale costituisce a sua volta un luogo di conservazione delle impressioni esterne e un centro di ricezione degli eccitamenti interni.

L'altro grande ciclo della teorizzazione freudiana che è necessario richiamare per comprendere le nozioni di fase e di organizzazione è quello inaugurato dalla pubblicazione dell'Introduzione al narcisismo (1914d). Immaginando che si dovesse postulare una fase intermedia fra l'autoerotismo delle prime fasi della vita psichica e la scoperta dell'altro e dell'oggetto, Freud ipotizzò che esistesse un primitivo investimento della libido sull'Io che solo in seguito veniva indirizzato verso altri oggetti. Come era già stato descritto nei Tre saggi, anche in quest'altra dimensione della vita emotiva il processo maturativo può andare incontro a incagli e fenomeni regressivi. Nella teoria freudiana, la fase fisiologica del «narcisismo primario» può infatti concludersi solo apparentemente, lasciando dietro di sé elementi tali da poter successivamente dar luogo ai fenomeni clinici del «narcisismo secondario». Incorporata anch'essa a posteriori nello schema evolutivo dei Tre saggi, la nozione di narcisismo troverà però uno spazio teorico ancora più ampio nella terza e ultima fase della produzione teorica freudiana: quella che, dopo Al di là del principio del piacere e L'Io e l'Es, si fonda su una diversa rappresentazione dell'organizzazione strutturale della psiche. Le istanze interne che sostituiscono quelle della prima topica sono infatti indicate con termini ricavati dalla lingua corrente (il pronome della prima persona singolare, ich: io; e quello della declinazione neutrale della terza persona, es: esso) e consentono di concettualizzare con maggior flessibilità il gioco delle interazioni conflittuali e delle antinomie pulsionali fondamentali. Alla contrapposizione fra pulsioni di autoconservazione e pulsioni sessuali che aveva caratterizzato la fase teorica precedente, Freud sostituisce ora la coppia «pulsioni di vita» e «pulsioni di morte», cui tuttavia non accorda una rilevanza univoca e immediatamente osservabile come era stato invece nel caso delle prime formulazioni della teoria della libido. Combinate fra di loro in «miscugli» o «fusioni», le pulsioni originarie costituiscono ancora gli elementi fondamentali delle fasi orale, anale e fallico-genitale. Negli scritti di questo periodo, però, la loro influenza economica (cioè il contributo energetico che forniscono allo sviluppo) viene compresa in un quadro concettuale più articolato, che distingue il funzionamento conscio, preconscio e inconscio dei processi che costituiscono le strutture interne dell'Io, dell'Es e del Super-io. Negli anni delicati e decisivi che fecero seguito alla morte di Freud, i testi che si rivelarono più influenti a livello internazionale (quelli dunque che meglio illustrano gli effetti di ricezione delle teorie freudiane da parte del movimento analitico) sono senza dubbio lo studio di A. Freud su L'io e i meccanismi di difesa (1936) e il famoso Trattato di psicoanalisi delle nevrosi e delle psicosi di O. Fenichel (1945). Il primo testo divenne uno dei punti di riferimento più importanti della cosiddetta «psicologia dell'Io», la tradizione teorica a lungo egemone nei paesi di lingua inglese e che ha dato origine a modellizzazioni sistematiche estremamente dettagliate delle fasi e dell'organizzazione dello sviluppo psichico. In questo ambito si colloca, ad esempio, il contributo di M. Mahler che, dedicatasi allo studio delle psicosi infantili, riprende il termine «fase» per distinguere nello sviluppo infantile una fase autistica normale, una fase simbiotica e una fase di separazione-individuazione. Il secondo lavoro è invece una storica summa psicopatologica e psicodinamica, in cui si trovano numerosi modelli concettuali grazie ai quali sono stati intesi, per molti anni, i disturbi, le sindromi e le malattie - cioè le organizzazioni psichiche patologiche - di cui si occupa la psicoanalisi. Per quanto concerne gli sviluppi postfreudiani, si deve osservare che il ripensamento del ruolo dell'oggetto e l'importanza riconosciuta alla relazione con quest'ultimo costituiscono una delle aree di ricerca su cui si è maggiormente concentrata la riflessione di coloro che hanno contribuito - con e dopo Freud - a sviluppare la teoria psicoanalitica. Tanto nell'Europa continentale (K. Abraham, S. Ferenczi) che in Inghilterra (W. Fairbairn, M. Klein) e negli Stati Uniti (F. Fromm-Reichmann, H. Sullivan), l'idea che l'oggetto fosse da intendere come il mezzo utilizzato dalla pulsione per raggiungere la propria meta, cioè la scarica eccitatoria e dunque il piacere, venne poco per volta ripensata e messa infine radicalmente in discussione. Già in un lavoro del 1924, K. Abraham aveva anticipato questi sviluppi concettuali, sostenendo che il mordere, e la fantasia che spesso lo accompagna («incorporare» interiormente una parte dell'oggetto: da qui la nozione di oggetto «parziale»), fossero da intendere come manifestazioni di una relazione amorosa primitiva e ambivalente, che sì osserva tipicamente nella fase orale. In un importante contributo di molti anni prima, Ferenczi aveva inoltre illustrato uno dei meccanismi psichici che saranno a lungo considerati centrali per comprendere le fasi evolutive e l'organizzazione strutturale della vita mentale: l'introiezione (Ferenczi, 1909). Nella prospettiva concettuale promossa da queste ricerche, la libido non era più una pulsione che cerca semplicemente la sua scarica, ma diveniva l'energia psichica che spinge il soggetto a mettersi in relazione con l'oggetto. Cercando di differenziarsi da quello che verrà poi polemicamente (e non sempre giustamente) indicato come «modello pulsionale», una parte importante della psicoanalisi postfreudiana cercherà così di costruire una serie di schemi dello sviluppo che tenessero al centro dei loro interessi le relazioni oggettuali. In anni più recenti il termine organizzazione è stato ripreso, in Francia, da J. Bergeret, e negli Stati Uniti da O. Kernberg per delineare una sistematizzazione delle varie possibili organizzazioni della personalità (nevrotica, psicotica e borderline o stato limite) e dei modi dei loro possibili scompensi. Un buon esempio di come questa prospettiva possa insieme differenziarsi e integrarsi con le teorie pulsionali più tradizionali è lo schema presentato da N. Me Williams (1994), dove le tipologie personologiche (i disturbi schizoidi, narcisistici, depressivi, ossessivo-compulsivi, ecc.) vengono incrociate con un sistema di categorie che descrivono le fasi di sviluppo in base alla capacità relazionale maturata dal soggetto (simbiosi e confusione psicotica, separazione/individuazione di natura borderline, costanza d'oggetto e integrazione psichica normale e/o nevrotica).

La seconda serie di nozioni psicoanalitiche imprescindibili è quella, ricordata all'inizio, che ruota intorno alle nozioni di «posizione» (la posizione schizoparanoide, PS, e la posizione depressiva, PD) e di oscillazione PS ↔ PD. Possiamo intendere la teoria delle posizioni come una delle riformulazioni più influenti del paradigma relazionale. Elaborata dalla Klein e dai suoi prosecutori, essa postula che il bimbo vada incontro, grosso modo tra i quattro e i sei mesi di vita, a una decisiva fase di distacco, separazione e/o svezzamento dal corpo materno. Questa tappa cruciale dello sviluppo comporta un'oscillazione drammatica tra fasi caratterizzate da fenomeni scissionali e proiettivi (PS) e fasi connotate da fenomeni depressivi e riparatori (il pining, o struggimento depressivo, che è tipico di PD). Dobbiamo agli psicoanalisti postkleiniani, e soprattutto a W. Bion, l'idea che questo processo molto simile al lutto non sia mai definitivamente concluso, ma si riproduca durante tutta la vita strutturando il funzionamento e l'organizzazione della psiche secondo un movimento ritmico che descriviamo con la formula PS ↔ PD.

La «fase dello specchio», infine, è una teoria proposta da J. Lacan negli anni '30 del secolo scorso e poi da lui stesso rielaborata per più di due decenni. Inizialmente fondata sugli studi di H. Wallon riguardanti il «corpo proprio», la teoria lacaniana suppone che, giunto all'età di circa sei mesi, il bimbo prenda finalmente coscienza della sua immagine corporea. Mentre si trova davanti a uno specchio, il bebé riuscirebbe a far sì che l'adulto si unisca a lui nel giubilo suscitato da questa scoperta. Convalidata dal riconoscimento altrui, l'immagine speculare del soggetto sarebbe così il nucleo intorno al quale si organizza, poco per volta, un'idea somato-psichica integrata della propria persona: un Urbild du Moi che consente di rintracciare gli effetti dell'immaginario nella costituzione dell'Io, del corpo e del rapporto col proprio simile.

Quale che sia la valutazione del valore che le diverse prospettive teoriche attribuiscono alle nozioni qui ricordate, è comunque ben chiaro che esse hanno giocato, e tutt'ora giocano, un ruolo centrale nella teoria psicoanalitica. Consentono di comprendere fenomeni di comune riscontro come l'oralità, l'analità e la genitalità del bambino e dell'adulto, e di dar conto di diverse osservazioni che il funzionamento psichico nevrotico, borderline e psicotico ci impone ripetutamente di fare.

GIOVANNI FORESTI e MARIO ROSSI MONTI